sabato 2 luglio 2011

Ma davvero la Messa nuova è così diversa da quella antica? (1. I riti di introduzione)

Ho provato a mettere in sinossi l'Ordo Romanus I e la successione di Messe avute in seguito: Messale romano del 1474 (con quelli coevi Gallicano, Domenicano, Mozarabico, Ambrosiano, quello di Pio V in attuazione delle norme Tridentine, Messale di Giovanni XXIII, Messale postconciliare del 1965, quello del 1967 e finalmente quello di Paolo VI. Una sintesi di questa sinossi èè qui pubblicata in un post a parte.
Al di là di qualche variante o amplificazione rituale minima, come si può vedere, quello che emerge è un'impressionante unitarietà in un rito che per 1500 è rimasto pressocchè identico, fino al messale di Paolo VI compreso, al di là di una diversità che a mio parere è più apparente che reale perchè legata più a varianti rubricali che a variazioni sostanziali.
Con l'aiuto di Dio proverò passo dopo passo a evidenziare questa continuità e a dare conto di eventuali variazioni.
Lo scopo è dichiarato in principio:
  1. Smetterla con gli opposti estremismi in cui i seguaci di un Ordo demonizzano l'altro in quanto entrambi espressione di una medesima tradizione orante.
  2. permettere una compenetrazione celebrativa dei due riti, come vuole il papa, per mostrarne la bellezza di entrambi.
  3. poichè a lungo andare però, come auspica il papa, si dovrà arrivare di nuovo ad un solo rito, formulare osservazioni e proposte che tendano verso questa soluzione, attraverso leggeri accorgimenti rituali da effettuare nel Novus Ordo Missae.
  4. NB: prendiamo come riferimento il  Novus Ordo giacchè alcune modifiche a mio avviso necessarie, quali l'arricchimento del Lezionario e dell'eucologia (ad es. Prefazi, Messe per il Proprio del Tempo e dei santi ecc.) o lo snellimento da un eccessivo ritualismo o un formalismo ridontante, porta se non proprio alla Messa di Paolo VI, all'Ordo del 1965/1967 che a mio parere sarebbe un buon punto di partenza per riprendere il dialogo fra le due parti e arrivare ad un Novissimus Ordo condiviso da tutti.
I RITI DI INGRESSO
Il canto dell'antifona di ingresso e del suo salmo o parte di salmo è una costante del rito romano.
Che va lasciata e anzi recuperata in tutto il suo  valore.
Basterebbe una variazione della rubrica che la renda obbligatoria in ogni caso: o la canta il coro, o la recita l'assemblea o solo un ministro o al limite lo  stesso sacerdote mentre si avvia all'altare o ai piedi dell'altare.
Significherebbe inoltre rimettere in uso il Graduale romano /graduale simplex e dare l'indicazione che il canto di ingresso sia ispirato sempre all'Introitus indicato dal Graduale.
Giacchè la processione del sacerdote e dei ministri è espressione di tutto il popolo in cammino, è bene e opportuno che il celebrante si unisca al Canto dell'Introitus con tutta l'assemblea o lo reciti lui solo.
La preparazione doverosa del sacerdote sia fatta prima in sacrestia e poi al momento di salire all'altare.
La venerazione dell'altare attualmente è prevista subito al termine della processione e all'arrivo di sacerdote e ministri. Perchè non prevedere una "statio" ai piedi dell'altare, "in limine presbyterii", come in tutta la tradizione precedente dove poter porre l'atto penitenziale e la preghiera "d'ingresso" del sacerdote?
Arrivata la processione il sacerdote fa un inchino con i suoi ministri all'altare e poi sempre rivolto verso l'altare inizia col segno della croce. Dopo di che si volta e rivolge al popolo il saluto liturgico. Dopo di che può introdurre la messa del giorno e/o passare all'atto penitenziale.
Per evitare la doppia confessione (prima del sacerdote e poi del popolo) sarebbe sufficiente che il sacerdote recitasse la formula rimanendo rivolto al popolo (per sottolineare "...e a voi fratelli"), a meno che nei tempi penitenziali non lo si voglia recitare da tutti in ginocchio rivolti verso l'altare.
In questo caso sarebbe meglio usare una seconda formula di atto penitenziale che potrebbe essere recuperando le formule dell'introibo precedente:
V/. Miserére nostri, Dómine.
R/. Quia peccávimus tibi.
V/. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R/. Et plebs tua lætábitur in te.
V/. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R/. Et salutáre tuum da nobis.
V/. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R/. Et clámor meus ad te véniat.

Finita la confessione dei peccati il sacerdote chiude con la formula solita: Dio Onnipotente...
Ma non credo ci sia un problema nel recuperare anche l'altra formula: Indulgentiam ... almeno nei momenti penitenziali forti in cui si usa la seconda formula.
In tutte le domeniche e nel tempo pasquale ( e nelle feste e solennità del Signore) potrebbe essere prescritta sempre l'aspersione con l'acqua lustrale al posto dell'atto penitenziale: sarebbe un rimanere in linea con tutta la tradizione.
Finito l'atto penitenziale si è pronti a muoversi verso la venerazione dell'altare.
Questo permetterebbe di ridare al Kyrie il suo posto di antica litania iniziale: per questo il Kyrie non dovrebbe essere usato come atto penitenziale (abolendo la terza formula attuale che lo prevede) ridandogli la dignità di acclamazione a Cristo a se stante.
Mentre il sacerdote sale gli scalini il coro intona Kyrie - Christe - Kyrie, arrivato all'altare lo bacia e nel caso lo incensa girandogli intorno. Se c'è la croce si incensa pure questa.
Se non c'è il coro il sacerdote recita il Kyrie con l'assemblea o col ministro.
Che ci sarebbe di strano che poi mentre il sacerdote sale il primo gradino e il coro canta il Kyrie, dica sottovoce: Introibo ad altare Dei / Deus qui...? o che nelle messe lette lo dica prima del bacio all'altare e poi subito dopo il bacio intoni il Kyrie?
Tale gesto riprenderebbe l'idea del ruolo peculiare del celebrante rispetto a tutti gli altri, senza però riprendere la preghiera Aufer... che ritorna a chiedere il perdono dei peccati, ma che non ha più senso dato che l'atto penitenziale è stato già fatto. D'altronde in moltissimi casi già questa preghiera come quella seguente erano omesse.
Ugualmente non riprenderei il richiamo alle reliquie dei santi, primo perchè la deposizione delle reliquie è  facoltativa, e poi perchè l'atto di venerazione è compiuto directe et principaliter a Cristo di cui l'altare è segno.
Durante l'incensazione il  canto del Kyrie può essere alternato con i tropi previsti nel Kyriale.
Il sacerdote mentre gira intorno all'altare potrebbe anticipare qui la preghiera personale sottovoce (se proprio non si vuole incensare senza dire nulla):
Lavabo inter innocentes manus meas et circumdabo altare tuum Domine ut audiam vocem laudis et enarrem universa mirabilia tua.
Domine dilexi decorem domus tuae et locum habitationis tuae.
Ego in innocentia mea ingressus sum: redime me et miserere mei. Pes meus stetit in directo: in ecclesiis benedicam te Domine. L'anticipazione dei versi di questo salmo in questa posizione è motivata dal  fatto di far coincidere il gesto con la formula recitata (il circondare l'altare e il salire in innocenza giacchè si è passati dall'atto penitenziale). Ma potrebbe essere pure una formula simile: ad es. "quanto sono amabili le tue dimore...verso il tuo altare..." ecc.
Finito Kyrie ed incensazione il sacerdote va alla sede, se c'è il  canto del Gloria  da là lo intona, oppure passa subito alla colletta, a meno che nelle messe lette non preghi la colletta direttamente dall'altare.
In ogni caso la colletta è rivola sempre coram Deo, verso l'altare e la croce.
Dopo di che tutti siedono per l'ascolto della Parola di Dio. (1.continua)

Nessun commento:

Posta un commento

IO ACCUSO…

Tra epidemia e calura estiva è passato sotto silenzio un importante responso della Congregazione della Dottrina della fede e approvato in pr...