venerdì 11 aprile 2014

SUL DIGIUNO

Sul digiuno 1. Il digiuno cristiano J. Gnilka, paideia, il vangelo di Matteo , p. 496: <> Giovanni Cassiano, Conferenze, 21, 14-15: <> A cosa ci educa in specifico? Alla moderazione. Scrive Evagrio monaco (Filocalia I, 105) : << Sappi digiunare secondo le forze davanti al Signore: il digiuno purificherà le tue iniquità e i tuoi peccati; esso dà dignità all'anima, santifica il sentimento, allontana i demoni, avvicina a Dio. Se hai mangiato una volta durante la giornata, non desiderare di mangiare di nuovo… >> E con più incisività Diadoco di Fotica (Filocalia, I, 365) … il digiuno comporta in sé un certo vanto, ma non presso Dio; infatti è solo uno strumento che indirizza per così dire, alla temperanza coloro che lo vogliono. Dunque i lottatori della pietà non devono insuperbire per esso ma solamente attendere con fede in Dio il termine del nostro scopo>>. E la moderazione aiuta la continenza Diadoco di Fotica (Filocalia, I, 365) … Quando il nostro intelletto nuota nell'onda del molto bere, non solo si ferma ad osservare con passione le immagini che i demoni gli raffigurano nel sonno, ma plasmando anche in esso alcuni bei volti, usa delle proprie fantasie come di donne da amare con ardore. Infatti, infiammandosi gli organi dell'unione, per il fervore del vino, è assolutamente inevitabile che l'intelletto offra a se stesso l'ombra gioiosa della passione. Dunque, bisogna che fuggiamo il danno dell'eccesso usando la moderazione, perché l'intelletto, quando non ha il piacere che lo trascina giù verso la raffigurazione del peccato, permane tutto privo di fantasia e, quel che è meglio, non effeminato. Tutte le bevande artefatte - che gli autori di questa invenzione chiamano aperitivi perché, come sembra guidano al ventre l'insieme dei cibi - non devono prenderle coloro che vogliono castigare le parti del corpo che si gonfiano. Infatti non solo la loro qualità è dannosa ai corpi dei lottatori, ma anche la stessa mistura sofisticata ferisce troppo la coscienza timorosa di Dio. Infatti che cos'è che manca alla natura del vino perché il suo vigore debba essere effeminato da la mescolanza di odori variati? Non solo castità! Basilio il grande, Lettera 361, al monaco Urbicio: <>. Non si tratta della bontà del cibo in sé o meno L’antica distinzione tra cibi puri e impuri è superata: Agostino, Lettera a Gennaro:<< Alcuni fratelli si astengono dal mangiare le carni, ritenendole immonde; ciò è evidentemente contrario alla fede e alla retta dottrina … L’apostolo parla di queste cose … “tutto è puro per i puri” … non devono perciò rifiutare di astenersi dal mangiare alcuni cibi per tenere a freno la concupiscenza carnale sotto il pretesto che non è loro permesso di agire nel modo superstizioso e proprio degli infedeli>>. semmai si tratta di un ritorno alla stato “genesiaco”: dice Evagrio monaco (Filocalia I, 105) <> E anche Diadoco di Fotica (Filocalia, I, 365) <>. Non per rifiutare la corporeità si digiuna Agostino, la dottrina cristiana, 1:<>. C’è chi lo fa non per rifiuto del corpo ma per estinguere i piaceri che usano male del corpo; c’è invece chi fa guerra al corpo quasi fosse un nemico naturale: questi comprendono falsamente quando leggono che lo spirito e la carne hanno desideri opposti. Nessuno deve odiare il proprio corpo ma i desideri cattivi della propria carne! Come digiunare : la regola è la libertà e la coscienza dei propri limiti Barsanufio e Giovanni di Gaza, Epistolario, 138: <> Cassiano il Romano (filocalia I, 129): <<… diremo ciò che abbiamo ricevuto dai padri. Essi non avevano un'unica regola per il digiuno, né un unico modo per prendere cibo e neppure ci hanno trasmesso l'indicazione di un'unica misura: perché non tutti hanno l a stessa forza, vuoi per età o per malattia, vuoi per una costituzione fisica particolarmente delicata… un certo digiuno quotidiano è stato giudicato più vantaggioso e più atto a condurre alla purezza di quanto non sia un digiuno protratto per tre quattro giorni o anche per una settimana… infatti il digiuno protratto senza misura spesso poi è seguito da eccesso nel prendere il cibo… la regola di continenza e la norma esatta trasmessaci dai padri è questa: che chi prende un qualsiasi cibo si arresti quando ancora ha appetito senza aspettare di giungere alla sazietà. … Inoltre per la perfetta purezza dell'anima non vale certo l'astenersi nei cibi soltanto, se non vi concorrono anche le altre virtù. Perciò molto giova l'umiltà mediante l'ubbidienza del lavoro e la fatica del corpo, come pure giova il tenersi lontani dall'amore per il denaro, che non vuol dire solo il non aver denaro ma anche il non essere bramosi di possederne… l'astenersi dalla collera, dalla tristezza, dalla vanagloria, dalla superbia. Non basta infatti il solo digiuno del corpo per acquisire la perfetta temperanza e la vera castità se non vi è anche la contrizione del cuore, perseverante preghiera a Dio, assidua meditazione delle scritture, dura fatica e lavoro manuale… ma più di tutto giova l'umiltà dell'anima…>> Niceta Stethatos << Le malattie vengono spesso ai più, in seguito ad una dieta irregolare e non equa, propria di uno zelante teso a una estrema astinenza dai cibi e alle fatiche delle virtù senza misura e discernimento>> (Filocalia III, 419) san Massimo il Confessore: << Non mettere tutto il tuo studio in ciò che riguarda la carne, ma fissale un'ascesi secondo le tue possibilità e volgi il tuo intelletto alle cose interiori. Infatti l'esercizio del corpo è utile a poco, ma la pietà è utile a tutto>> (Filocalia, IV, 204) San Massimo il Confessore: << Se uno digiuna, sta lontano da un regime di vita che ecciti le passioni e fa quant'altro può contribuire alla liberazione dal male, costui ha preparato la via che abbiamo detto [al Signore]. Ma se ha coltivato queste cose per vanagloria o per cupidigia o adulazione o per qualche altro motivo che non sia il divino compiacimento, costui ha "fatto retti i sentieri di Dio". Ha sopportato la fatica di "preparare la strada" ma non ha Dio che cammina nei suoi sentieri.>> (Filocalia 2) Al di sopra di tutto la carità Evagrio monaco (Filocalia I, 105) <> Diadoco di Fotica (Filocalia, I, 365) … quando la vanagloria si accende con forza contro di noi, cogliendo a pretesto della propria malizia l'arrivo di alcuni fratelli o di un ospite qualunque, allora è bene concedere una moderata tregua alla dieta consueta. Infatti rimanderemo il demonio con niente di fatto e, ancor di più in lutto, riguardo al suo tentativo; e compiremo con approvazione la legge divina della carità e custodiremo non svelato il segreto della continenza, attraverso la condiscendenza. Attenti a non nutrire l’orgoglio Girolamo, lettere 1, 22, 37: <> Agli antipodi dell’orgoglio: l’umiltà Giovanni Climaco: << non ho digiunato, non ho vegliato, non ho dormito per terra, ma mi sono umiliato: e in poco tempo il Signore mi ha salvato>> (Filocalia, IV, 206) Un digiuno non ipocrita: Basilio il Grande, Omelia sul digiuno 1: <> Il vero digiuno Il discorso sull’umiltà ci apre la strada verso una considerazione più generale: che il digiuno vero è quello dal peccato e dall’ingiustizia: non c’è un padre che non leghi il discorso sul vero digiuno alla reprimenda di Isaia “questo è il digiuno che io voglio…. Giovanni Cassiano, Conferenze: <>. Attenti a non fare del digiuno un idolo Macario l’egiziano, testamento ai figli spirituali, Bose, 24<>. La concretezza del digiuno Erma, Il pastore, Allegoria V: <>. Per un digiuno spirituale Basilio il grande, Omelia sul digiuno,1: <>. 2. Il digiuno quaresimale: la vera penitenza e la novità di vita Il brano appena citato di Basilio ci permette di passare così al secondo livello del digiuno: quello quaresimale. La liturgia, il mercoledì delle ceneri, ci presenta i tre pilastri della ascesi della Quaresima: preghiera personale, digiuno, elemosina. Sembrerebbe dunque che questi tre elementi abbiano in sé, ed esprimano, la dimensione penitenziale della sola quaresima. Però di per se abbiamo visto come la tradizione ecclesiale non qualifica questi tre pilastri solo come quaresimali ma come dimensioni essenziali (seppure in rapporto gerarchico e dialogico con altre dimensioni) della vita cristiana e dunque non solo del tempo quaresimale. Qual è allora lo specifico del digiuno quaresimale? Anzitutto c’è un richiamo tipologico alla quarantena di Gesù nel deserto. Ma attenti: anche questa ripresa tipologica non è pacifica. Ad esempio, copti, armeni, siri e altre liturgie conservano memoria di una quaresima di Gesù computata subito dopo il Battesimo, così come cronologicamente è collocata in tutti i vangeli, distinta ad esempio da un periodo penitenziale detto di Ninive o di Giona che apre il cammino verso la Pasqua (gioca qui il segno di Giona!). Ancora al tempo di Agostino e Girolamo questa era una quaestio disputata! Sant’Agostino, omelia 207 sulla quaresima: <> San Tommaso D’Aquino, glossa aurea sopra i vangeli <> 3. Il digiuno dello sposo tolto e i figli della camera nuziale E siamo finalmente al terzo livello. P. 493 Forse un richiamo al digiuno del venerdì santo. ... Non sono contrapposti digiuno e non digiuno ma due diversi intendimenti , forse anche tempi diversi di digiuno. Finalità giudaiche erano umiliazione di fronte a Dio espiazione e preghiera. La novità del digiuno cristiano e in pratica il suo riferimento alla croce. ... Il vino nuovo è il simbolo del tempo di salvezza. Qui si vede come il digiuno pasquale ha una radice diversa. Come poi ad esempio non si avverte più la differenza tipologica del digiuno del Venerdì santo, che a detta degli studiosi, sembra essere il più antico e tipicamente cristiano: è il digiuno dello "sposo tolto". E' da qui che poi diversi padri prenderanno avvio per la loro riflessione sul digiuno, anche perché è da qui che emerge la radicale diversità, nel contrasto con i discepoli di Giovanni, tra digiuno cristiano e altri tipi di digiuno. Agostino: <<… su questo doppio tipo di digiuno il Signore rispose a quanti gli chiedevano perché i suoi discepoli non digiunassero. In rapporto al primo, quello che riguarda l’umiliazione dell’anima, il –Signore disse: gli amici dello sposo non possono piangere [ matteo parla di pianto invece di digiuno] fintanto che lo sposo è con loro, ma viene l’ora quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno. In rapporto poi all’altro che riguarda il nutrimento della mente, a ragione si espresse così: nessuno cuce un panno nuovo su un vestito vecchio … E dunque, dal momento che lo sposo già fu tolto a noi non ci resta che piangere quello sposo bello. … Alcune considerazioni finali A ben considerare le cose, la prima cosa che dovremmo dunque dire è che la dimensione penitenziale della vita cristiana non è riservata solo alla quaresima ma abbraccia tutto l'arco dell'anno liturgico e l'intera esistenza del credente. Purtroppo oggi questo non è più un dato rilevabile dalla prassi ecclesiale, perché a mio parere questa dimensione ascetica non è più avvertita dal popolo di Dio, o meglio dalla maggior parte del mondo cattolico e protestante: sia perché il protestantesimo, con la disistima delle opere (anche se poi riprese in un certo atteggiamento pietista) non ha prodotto una riflessione ulteriore sulla dimensione penitenziale della Chiesa, sia perché il cattolicesimo, nella sua smania di adattarsi e di rendersi comprensibile al mondo, specie dopo il Vaticano II, ha finito per generare una operazione postconciliare, che forse, come le altre cose, era buona negli intenti, ma che di fatto ha generato una perdita della dimensione penitenziale nella Chiesa cattolica. In verità non dobbiamo sempre dare tutte le colpe dell'incomprensione ai nostri fedeli e alla secolarizzazione, quanto ad un ingenuo ottimismo che a mio modesto parere non ha niente a che fare con l'attenzione pastorale che si nutre invece di sano realismo! Specie quando le riforme nella Chiesa sono fatte da professori e burocrati che non hanno mai avuto un contatto pastorale con la gente! Di fatti, la riduzione dei giorni di penitenza fatta da Paolo VI, che volle -disse - adeguare la prassi penitenziale alle rinnovate esigenze contemporanee: aprendo però una maglia pericolosa nel lasciare tutto nell'ambito indistinto delle scelte personali con la commutazione ad esempio del digiuno e dell'astinenza con un'opera di bene, mettendo pericolosamente in rivalità le due cose che per millenni erano andate sempre insieme, cioè il digiuno e l'astinenza da un lato con l'elemosina e le altre opere di bene dall'altro. Un conto però è mettere in guardia dall'ipocrisia, un conto è immettere un principio soggettivista di origine - diciamolo pure - protestante nell'impianto tradizionale della Chiesa. Per comprendere ciò, basti pensare alla riduzione attuale della Quaresima ad una sorta di Ramadan cristiano, nel senso che ormai è nel comune sentire di tanti cristiani che il solo periodo penitenziale della Chiesa è la quaresima, e che poi questa stessa santa quarantena si sia ridotta di fatto ai soli venerdì quaresimali con l'astinenza dalla carne e il digiuno si sia ridotto solo alle ceneri e al venerdì santo intesi, come inizio e fine della quaresima. Che poi in concreto questi venerdì siano osservati ho i miei dubbi, data la stessa incomprensione della motivazione di fondo che soggiace alla astinenza dalla carne. Faccio un esempio per capire: conosciamo tutti il ritornello sulla carne, il suo costo e quello del pesce, - come dicono i fedeli - e allora meglio mangiare carne, o fare un'altra penitenza che poi in verità non viene fatta! C'è in ciò una totale distonia tra la liturgia della chiesa e la prassi dei cristiani che non comprende più la stessa dimensione penitenziale e ascetica non solo della quaresima ma di tutta la vita cristiana. A mio avviso occorre dunque non tanto ribadire la norma isolata sul digiuno o sull'astinenza quaresimali, quanto operare il recupero della dimensione penitenziale e ascetica della vita cristiana. E questo a partire dall'insegnamento dei Padri e della prassi tradizionale bimillenaria della chiesa cattolica, e anche dal confronto con l'esperienza mantenuta inalterata della prassi penitenziale delle chiese d'oriente. Per finire: Annuncio Pasquale (catechesi attribuita a san Giovanni Crisostomo) nel rito bizantino: <>

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