Vi confesso che ho riflettuto molto su quanto sta accadendo
e sulle sue ripercussioni circa la vita "eucaristica" dei cristiani.
Mi ero ripromesso di rimanere in silenzio per evitare che
anche le mie parole aumentassero il chiacchiericcio che forse non ci sta
aiutando a discernere questo "segno del tempo" per leggervi il
mistero della Volontà di Dio. Se lo faccio ora è perché spinto da due
motivazioni. Una, perché l'Eucaristia è segno di comunione e non ci si può
dividere e litigare proprio sul fatto di celebrare o non celebrare le messe.
L'altra, perché ho trovato in uno scritto dell'allora teologo Joseph Ratzinger
la consonanza con quanto mi sono portato dentro nel cuore dall'inizio del
divieto di celebrare la messa e perciò ho trovato anche le parole giuste per
esprimerlo. Anzitutto sul senso del digiuno eucaristico che da sempre i padri
hanno considerato il vero digiuno (più che del cibo e della carne, al punto che
in tanti Riti Orientali e nel Rito Ambrosiano il venerdì di Quaresima non si
celebra la Messa): noi, a mio parere (dimenticando che Dio non ha legato la sua
grazia ai soli sacramenti, come ricordava san Tommaso) abbiamo banalizzato
l'Eucaristia, riducendola ad una devozione fra le tante, una pia pratica
inserita tra Rosario e Via Crucis e una partecipazione abitudinaria che non
coglie più la differenza essenziale tra quella feriale e quella domenicale e
forse questo epidemia ci aiuterà a riscoprirla nella sua verità più profonda. E
poi perché vi confido che ho sentito fin da subito la necessità di condividere
la fame del pane eucaristico con tutti i miei fedeli e gli altri amici
cristiani. In tempi normali celebro la messa tutti i giorni, anche da solo, ma
il solo pensiero di celebrarla a porte chiuse mi ha fatto star male, come il
sentirmi quasi un privilegiato rispetto ad altri che per ora ne restano
esclusi. Ecco perché (pur nel rispetto di chi ha fatto una scelta diversa dalla
mia) ho scelto di non celebrare nei giorni feriali (la domenica è tutt'altra
cosa e la Pasqua domenicale in un modo o nell'altro va salvaguardata) e di
farmi carico, nel mio desiderio, del desiderio dei fratelli. Il Signore ci sta
facendo vivere il Venerdì Santo della Morte di Dio e il lungo Sabato Santo del
suo silenzio e della sua avvertita assenza e credo che, più che addolcire
questo "Tremendum Mysterium" con parole di sdolcinata pseudo
spiritualità laicale o sacerdotale che sia, dobbiamo avere il coraggio di
assumere in noi questa lunga attesa davanti al Sepolcro. Con un solo grido al
Custode d'Israele: <<Shomèr ma Mi-llailah?>> Custode, quanto resta
della notte?
Certo, questa, per tanti versi, è l'ora delle tenebre: ma
sappiamo che più avanzano le tenebre più la luce dell'alba è vicina.
Io prego perché grazie a questa prova risorga la fede
assopita, si rinfranchi la speranza di chi è disilluso, ritorni ad ardere la
carità nei cuori.
Ora leggete le belle parole di Benedetto XVI e magari
pregate per me, come io mi ricordo di voi tutti nelle mie preghiere.
<<In questo contesto mi si impone una riflessione che
ha un più forte carattere di pastorale generale. Quando Agostino sentì
avvicinarsi la morte, «scomunicò» se stesso, prese su di sé la penitenza della
Chiesa. Nei suoi ultimi giorni si pose in solidarietà con i pubblici peccatori
che cercano perdono e grazia mediante la sofferenza per la rinuncia alla
comunione . Egli volle incontrare il suo Signore nell’umiltà di chi ha fame e
sete di giustizia, di Lui, il giusto e il misericordioso. Sullo sfondo delle
sue prediche e dei suoi scritti che descrivono grandiosamente il mistero della
Chiesa come comunione con il corpo di Cristo e come corpo di Cristo a partire
dall’eucarestia, questo gesto ha in sé qualcosa di commovente. Esso mi rende
tanto più pensoso quanto più spesso vi rifletto.
Noi, oggi, non riceviamo spesso con eccessiva facilità il
santissimo sacramento? Talvolta questo digiuno spirituale non sarebbe utile o
addirittura necessario al fine di approfondire e rinnovare il nostro rapporto
col corpo di Cristo?
In questa direzione la Chiesa antica conosceva una pratica
di grande capacità espressiva: già a partire dall’epoca apostolica il digiuno
eucaristico del venerdì santo era frutto della spiritualità comunionale della
Chiesa. Proprio la rinuncia alla comunione in uno dei giorni più santi
dell’anno liturgico, trascorso senza messa e senza comunione ai fedeli, era un
modo particolarmente profondo di partecipare alla passione del Signore: il
lutto della sposa alla quale è tolto lo sposo (cfr. Mc. 2, 20) .
Io penso che anche oggi un tale digiuno eucaristico, nel
caso fosse determinato da riflessione e sofferenza, avrebbe un notevole
significato in determinate occasioni, da ponderare con cura, come nei giorni di
penitenza (perché non, ad esempio, di nuovo il venerdì santo?) …
Un tale digiuno … potrebbe favorire un approfondimento del
rapporto personale col Signore nel sacramento; potrebbe essere anche un atto di
solidarietà con tutti coloro che hanno desiderio del sacramento, ma non lo
possono ricevere…
Naturalmente, con questo non vorrei proporre un ritorno ad
una specie di giansenismo: il digiuno presuppone una condizione normale del
mangiare tanto nella vita spirituale come in quella biologica. Ma talvolta
abbiamo bisogno d’una medicina contro la caduta nella semplice abitudine e
nella sua assenza di spiritualità. Talvolta abbiamo bisogno della fame —
fisicamente e spiritualmente — per capire di nuovo i doni del Signore e per
comprendere la sofferenza dei nostri fratelli che hanno fame. La fame tanto
spirituale come fisica può essere uno strumento dell’amore>>.
(Joseph Ratzinger)
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