mercoledì 12 agosto 2015

Versus populum, si; coram populo, no!

Mi piace la catholica perché è forma dell'equilibrio, della capacità inclusiva dell'et -et e mai dell'aut-aut. Solo gli eretici elevano una verità parziale a verità assoluta, finendo così per arroccarsi in integralismi esclusivi ed escludendi.
È questa la grande Tradizione della nostra Chiesa che però spesso viene dimenticata. Quando alla Teo-logia subentra l'ideo- logia  e allora si vede in chi non la pensa come te solo un nemico da combattere e non un interlocutore con cui verificarsi.
Purtroppo vedo sempre più come si accendano dibattiti in cui ci si "sbrana" a vicenda, quando invece una ricerca comune della verità porterebbe a intese più profonde. Ma per far ciò bisogna avere il coraggio di superare il livello delle opinioni e di uscire da propri pregiudizi.
Faccio un esempio.
Da decenni due fazioni si accusano reciprocamente di tradizionalismo bigotto o progressismo filo protestante, senza avere, a mio parere nessuna delle due, l'umiltà di confrontarsi con la Tradizione, quella vera, della Chiesa Cattolica. E uno dei terreni di scontro è, ad esempio, l'orientamento del celebrante nella celebrazione della messa.
Volgarmente si dice "con la faccia rivolta al popolo" o "con le spalle rivolte al popolo".
Scopriremo come queste espressioni sono entrambe sbagliate, e perciò chi vi si fissa in ogni caso celebra con un atteggiamento sbagliato.
E il problema supera lo stesso dilemma se scegliere la teologia tridentina o la teologia vaticanosecondina (si può dire? ).
Ma andiamo con ordine.
Il messale di san Pio V del 1570, che recepisce il messale a stampa del 1470 e altri messali precedenti, recepisce non solo l'eucologia e l'ordo missae dei secoli precedenti, ma ne recepisce anche le rubriche così come si erano formate lungo il corso di diversi secoli, per cui davvero si può dire che il messale di san Pio V riporti il modus celebrandi della chiesa di Roma e quindi sia in grado di indicarci con sicurezza le priorità e le scelte di fondo su cui si innesta lo stile celebrativo "romano".
Una di queste priorità è data dall'orientamento nella preghiera da parte del popolo e del sacerdote durante la celebrazione eucaristica.
Una indicazione rubricale ci aiuta a cogliere la priorità e insieme ci mostra il senso "pratico" della liturgia romana. Nelle rubriche del Messale di Pio V , al Caput V de oratione, viene detto: 3. << Si altare sit ad orientem, versus populum, celebrans versa facie ad populum, non vertit humeros ad altare, cum dicturus est Dominus vobiscum, Orate, fratres, Ite, missa est, vel daturus benedictionem; sed osculato altari in medio, ibi, expansis et iunctis manibus, ut supra, salutat . >>
E poi al caput XII aggiunge : 2. <<Si celebrans in altari vertit faciem ad populum, non vertit se, sed, stans ut erat, benedicit populo, ut supra, in medio altaris; deinde accedit ad latus Evangelii, et dicit Evangelium S. Ioannis. >>
In pratica cosa viene detto? Che se per caso, essendo l'altare rivolto ad orientem, il celebrante si trovasse  a celebrare in direzione del popolo, allora non occorre che il celebrante si giri su se stesso e dia le spalle all'altare quando deve salutare o dialogare o benedire il popolo ma rimanga fermo così com'è e saluti o benedica il popolo direttamente. Si capisce la motivazione della rubrica: che se si dovesse applicare la norma generale il sacerdote si troverebbe nella situazione innaturale di rivolgersi al popolo dandogli le spalle!
Ma c'è una ratio ancora più profonda da cogliere. Quella che pur di salvaguardare la direzione ad orientem dell'altare è capace di sacrificare la direzione dell'assemblea purché altare e celebrante rimangano rivolti ad orientem.
È il caso della basilica di san Pietro a Roma e di altre basiliche romane.
Essendo l'altare costruito sulla tomba di Pietro ed essendo la chiesa direzionata su un asse oriente - occidente e con l'ingresso ad oriente così che l'abside si venga a trovare ad occidente, è chiaro che se il celebrante dovesse celebrare secondo lo stesso orientamento in cui sono disposti i fedeli, guardando verso l'abside, si verrebbe a trovare rivolto verso occidente!
La scelta è stata logica e pratica, ma insieme è anche teologica perché indica un criterio che supera il mero orientamento cardinale-geografico per indirizzare verso un orientamento simbolico-sacramentale.
Perché l'altare, se da un lato mantiene ancora un orientamento geografico, dall'altro contiene in se anche  ciò che ne fa superare la semplice direzione geografica: è la croce.
Sull'altare è posta la croce, rivolta verso il celebrante, così che il celebrante abbia davanti a se non solo l'oriente  geografico ma soprattutto l'Oriente teologico, il Cristo redentore.
Così il celebrante si trova ad officiare la sua actio liturgica in uno spazio non solo geografico ma anche teologico-sacramentale. Alzando gli occhi al Cielo si rivolgerà al Padre come il Figlio, guardando alla croce, incensandola, inchinandosi davanti ad essa, il sacerdote incarnerà la risposta orante della Chiesa al suo Sposo che dalla croce attira tutti a se col suo sacrificio di cui la messa è memoriale.
In questa actio è coinvolto anche il popolo che, al di là della direzione geografica, è invitato a contemplare l'altare e la croce dove si rinnova il sacrificio.
In questo senso è da comprendere l'invito e la risposta del popolo di avere gli occhi rivolti al Signore: e credo non ci sia bisogno di ipotizzare il fatto che l'assemblea si girasse sempre verso l'Oriente geografico perché nel caso di san Pietro a Roma troveremmo un'assemblea rivolta alla porta della chiesa e con le spalle verso l'altare dove si sta per celebrare il sacrificio! Il che ci sembra illogico e paradossale.
La realtà invece credo che sia proprio la croce ad essere diventata il punto cui orientarsi, specie quando l'orientamento ad orientem della chiesa ( cioè dell'abside) non si potesse assicurare.
Ma il fatto che talvolta il sacerdote rivolto ad orientem e il popolo rivolto all'altare si potessero trovare faccia a faccia non vuol dire che la celebrazione fosse "coram populo" .
Anzitutto perché il fatto che l'altare fosse elevato con gradini e posto sulla cripta e sotto il baldacchino in ogni caso non ha dato mai l'idea di un rapporto "faccia a faccia" tra sacerdote e popolo, specie se si pensa che il sacerdote si trovava dall'altra parte dell'altare e tra il sacerdote e i fedeli sull'altare si trovava la croce verso cui, celebrante e fedeli , erano chiamati a guardare.
Ma poi perché soprattutto nella tradizione   romana non troviamo l'idea di una messa celebrata "davanti" alla gente per far vedere "pedagogicamente" quello che viene detto o fatto sull'altare: questa semmai è una idea che entrerà per la porta "protestante" nella chiesa cattolica.
lo stesso altare separato dalla parete (previsto già nell'aggiornamento delle rubriche del Messale di Giovanni XXIII) era visto solo per ripristinare l'antico uso della incensazione intorno ad esso e non per una celebrazione "davanti al popolo".
Ma la stessa rubrica da noi citata nel Messale di Pio V è stata tramandata per secoli e recepita fino al messale suddetto di Giovanni XXIII: ciò significa, a mio parere, che nel rito romano non si debba idolatrare nessuna posizione del celebrante in se stessa, perché il vero discriminante è dato dall'altare e dalla croce sull'altare.
In questo senso possiamo dire che, come ben scrisse una Nota della Congregazione del Culto divino anni fa ad una risposta sull'orientamento del celebrante, in ogni caso la messa è e deve essere "coram Deo", sia quando il celebrante si trova "versus populum" sia quando celebra "versus parietem".
E non è pedanteria far rilevare come il testo latino distingue tra celebrare "coram" e celebrare "versus",  perché un conto è celebrare "davanti a... " un conto "in direzione di ... ". Si può anche celebrare in direzione dei fedeli, ma sempre davanti a Dio! È ciò che le rubriche ( e la tradizione dei padri) ci insegnano.
Certo la pienezza del segno ( da non sottovalutare però) è data dal comune orientamento del sacerdote e dei fedeli verso l'altare su cui è posta la croce (e il tutto ad orientem), e ciò risponde non solo a tutta la tradizione romana ma alla stessa tradizione comune in oriente e occidente. Modalità di celebrazione che io ristabilirei pienamente non fosse altro che per un gesto di sensibilità e comunione ecumenica. Ma se per ragioni diverse il celebrante dovesse assumere una posizione diversa, celebrante e fedeli sono chiamati ad orientare il loro sguardo in direzione della croce dell'altare.
Quella che dunque viene in ogni caso esclusa è la "circolarità " dello sguardo tra sacerdoti e fedeli in cui ci si guarda reciprocamente in una celebrazione "orizzontale"  perdendo di vista la comune direzione, il comune Orientem cui tendere.
Conseguenza pratica, per me, è la necessità che sull'altare venga posta la croce. Al centro e ben visibile, e se questa anche visivamente si frappone tra sacerdote e fedeli, nel caso in cui si celebra in direzione dei fedeli, tanto meglio, perché ricorderà a tutti la direzione cui orientare lo sguardo.
Non dico niente di nuovo, questa è la saggia indicazione di Benedetto XVI, per scongiurare nuove guerre di altari ( "che facciamo, si chiese, smontiamo di nuovo gli altari? No, basta rimettere la croce al centro," rispose, parlando di "riforma della riforma liturgica"). L'ostilità contro questa proposta di Benedetto, ripeto saggia ed equilibrata, in verità rivelò e rivela ancora le posizioni ideologiche di chi ragiona per tesi preconfezionate perché accettare questa proposta - secondo questi - significherebbe accettare una scelta celebrativa in conformità con la Tradizione  ( ma per essi "tradizionalista " ) e " tradire" una interpretazione del Vaticano II che avrebbe voluto una celebrazione non solo versus populum ma anche coram populo obbligatoria per tutti. Cosa che non risulta per il Vaticano II come non risulta l'incontrario per il concilio di Trento.
Che se all'ostilità poi contro l'altare ad orientem o alla croce sull'altare, si risponde con l'ostilità tout court contro l'altare versus populum si vede bene come ci si è infilati in un cul de sac da cui è difficile uscire.
Come uscirne?
Con un atto di umiltà che faccia riconoscere a tutti che la liturgia non è appannaggio di nessuno e che i riti non sono frutto di alchimie e tesi fatte a tavolino, ma il risultato della vita della Chiesa sedimentata nella Tradizione.
E la Tradizione ci dice che la celebrazione della messa deve essere sempre " orientata" coram Deo. Segno di questo orientamento è la croce posta sull'altare.
E non importa se per guardare ad orientem il celebrante sia versus populum oppure versus parietem: perché non lasciare questa scelta caso per caso al celebrante a seconda delle chiese e di altre situazioni contingenti, senza lanciarci anatemi reciprocamente?
Riusciremo almeno a concordare in ciò? A chiudere una polemica oltremodo sterile e dannosa?
Il rischio è che mentre discutiamo sull'orientamento della messa la secolarizzazione invada sempre di più il nostro mondo e finanche le nostre chiese.

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