martedì 3 giugno 2014

PAPA FRANCESCO IN TERRASANTA.

Se anche non avesse tenuto nessun discorso, credo che i gesti di Papa Francesco e alcune immagini significative sarebbero state altrettanto eloquenti.  Mi piace fra tutte evocarne tre che, per il mio impegno al servizio per il dialogo ecumenico ed interreligioso mi hanno colpito.
La prima immagine che mi ha commosso è stata la preghiera silenziosa, l’uno accanto all’altro, quasi addossati alla pietra della tomba di Cristo di Francesco e Bartolomeo: come non pensare a Pietro e Giovanni in quel giorno di Pasqua, entrati per vedere e per credere, sfidati alla fede proprio da quel sepolcro vuoto! Ma su quella pietra c’era il vangelo, c’era l’annunzio, la lieta novella: “è risorto, non è qui!” Che bello il gesto liturgico di far proclamare il vangelo della resurrezione proprio dall’evangelario portato fuori dal Santo Sepolcro: qui si supera ogni ecumenismo di facciata o di scuola, in Pietro e Giovanni che entrano ed escono dalla tomba vuota, ed escono insieme per annunciare l’inaudita novella, ci vien detto che la Chiesa ha un futuro e l’unità dei cristiani non è più un esercizio accademico ma un cammino di fratelli.
Sulla mia pagina di face book, a commento poi di una immagine che mette insieme le tre foto di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco mentre depongono la loro preghiera nella fessura del muro del Tempio, ho scritto: <<Questa è la chiesa che dialoga!>> Perché in quel gesto, credo sia espressa tutta l’intensità e la continuità del dialogo che la Chiesa sta portando avanti col popolo ebraico. Tre tappe di un unico cammino. Giovanni Paolo II nel suo scritto riportò la richiesta di perdono al popolo ebraico pronunciata in occasione del grande Giubileo del 2000; Benedetto XVI si ispirò ad un salmo “delle ascensioni” per sottolineare l’imprescindibilità dalle radici ebraiche da parte del cristianesimo; Francesco ha deposto il testo del Padre Nostro per ribadire la comune adorazione di uno stesso Dio. Né fratelli maggiori o minori, ma padri e figli di un’unica fede: è questo il vero modo di guardarci reciprocamente!
E infine l’immagine dei tre amici, il papa, il rabbino, l’imam che si abbracciano: dove l’amicizia indica il cammino al dialogo interreligioso, perché lo supera nel rispetto della diversità in carità che, come esperienza di Dio è sempre “maior”, più grande. E proprio da qui può partire l’impegno comune per non strumentalizzare il nome di Dio e la collaborazione perché Gerusalemme diventi davvero la metafora della casa comune di ogni figlio di Adamo.
Tre  immagini, un unico desiderio di Francesco: la pace e l’unità, che poi è il desiderio di tutti. Ma che penso segnino un modo nuovo di guardare alla Chiesa e al dialogo da parte della Chiesa. Lo si è visto nella proposta di Francesco di offrire la propria “casa” (e la casa la si apre agli amici) per la preghiera comune tra Israeliani e Palestinesi. Credo sia questo forse il momento ad oggi più alto del pontificato di Francesco.

Ignazio La China

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