A Modica gira un racconto: ‘Un modicano di campagna
si recò per la prima volta al duomo di San Giorgio e al sacrista - davanti alla sua statua del Santo cavaliere -
mostrando grande interesse per il simulacro chiese al sacrista: “Bello davvero
S.Giorgio! Ma quello sopra il cavallo chi è?”. Il campagnolo aveva riconosciuto
il cavallo – questo rientrava nella sua esperienza – ma non aveva riconosciuto
il santo che cavalcava il cavallo, perché - così si scusò – il santo non l’aveva
mai incontrato prima! Il guaio non è stato la sua inesperienza in fatto di
santi, quanto il voler leggere a partire dalla propria limitata esperienza un
fatto più grande di lui col risultato di confondere il cavaliere col cavallo!
Dove è stato lo sbaglio? Nel non confessare la propria ignoranza e così la sua
stessa esperienza si è rivelata un pregiudizio, un fattore che cioè lo ha
ingannato nell’accrescersi del suo processo conoscitivo dando luogo ad un
errore. Risibile errore in questo caso. Solo che in tanti altri casi gli esiti
dei pregiudizi danno luogo ad esiti drammatici. Mi veniva in mente questo
aneddoto a proposito della preparazione della festa di San Giuseppe e della
Cavalcata: c’è chi purtroppo ogni anno si ferma ai cavalli e non riesce ad andare
al di là del cavallo! Fuor di metafora c’è chi crede che la Cavalcata sia una
manifestazione equina (al massimo arriva alla sua dimensione folkloristica) ma
non riesce a cogliere il suo aspetto fondamentale che è quello religioso. Come
per la statua di San Giorgio, per bello che sia il cavallo quello che conta è
il Santo che lo monta, così la cavalcata non ha ragione di esistere senza San
Giuseppe e la rievocazione della fuga in Egitto! Chi vuole separare le due cose
volendo fare la festa al solo cavallo di San Giorgio credo che abbia le idee
confuse [ ma – detto per inciso - i miei cari lettori (e in questo caso i
devoti di San Giuseppe ) non devono temere: finché il parroco sarò io la Festa e la Cavalcata saranno “di
San Giuseppe”!]. Anche qui il guaio sta
nella mancanza di una conoscenza esatta o in una conoscenza parziale ed errata
che però rimane inconfessata ma che viene creduta esaustiva e quindi dà luogo
ad una lettura preconcetta delle cose. Perché scrivo questo? Per raccontare
anzitutto il modo con cui nascono le mie riflessioni. Spesso infatti mi viene chiesto il perché dei miei articoli,
se scrivo perché ce l’abbia con qualche persona in particolare o se sono
dettati da qualche episodio particolare. Voglio soddisfare la parte legittima
della curiosità di chi mi ha fatto queste domande. Le mie confessioni nascono
sempre da esperienze personali, questo però non vuol dire che “sic et
simpliciter” siano trasposte nei miei scritti, né tantomeno che usi i miei
articoli per attaccare indirettamente qualcuno. Mi sembra di aver dato
ampiamente prova che quando voglio dire qualcosa a qualcuno so benissimo
chiamarlo per nome e cognome. Ma non credo che il giornale o il blog debbano
servire per combattere le mie battaglie. Se ho accettato l’invito a scrivere e
ho deciso di collaborare attraverso lo strumento delle mie “confessioni” sul
periodico “Dibattito” di Scicli è perché invece credo che forse a qualcuno le
mie riflessioni sui più vari accadimenti possano interessare, dato che penso di
non essere il solo a cercare di dare continuamente senso alle più varie
esperienze che la vita ci propone, come d’altronde io sono grato a quanti,
aprendomi il loro cuore e mettendomi a parte dei loro pensieri, mi consentono
di usufruire della loro ricchezza spirituale per la mia crescita personale.
Ritornando alla storia del cavallo di San Giorgio: il problema del pregiudizio
è il tema della stupidità di cui abbiamo parlato la volta scorsa. Perché?
Perché il problema – e se ne era accorto già Platone nella sua Apologia di
Socrate – è che spesso chi è ignorante o ha una conoscenza parziale, invece di
aprirsi ad una conoscenza più ampia, si chiude in una sorta di compiacimento
autosufficiente e si crede invece già saggio e sapiente, ritenendo di non aver
niente da imparare dagli altri, anzi la sua conoscenza parziale, se assolutizzata
si rivela come un pregiudizio insanabile. Lo stupido di cui parlavo in qualche
altro scritto precedente è di questo genere: avrebbe tutti gli strumenti di cui
l’ha dotato madre natura per conoscere non superficialmente ma dal di dentro le
cose (intelligenza, intelligere, non viene proprio da intus – leggere : leggere
dentro?) ma non li usa o li usa male! E li usa male perché è viziato da
pregiudizi insuperabili che gli fanno leggere in modo distorto la realtà. Un
antico detto ammonisce “timeo lectorem unius libri”: temo il lettore di un solo
libro. Come dire, temo chi si è chiuso nelle proprie idee e vuole sentir
suonare solo la propria campana. L’altro articolo si chiudeva con l’accenno al
fatto che la stupidità si risolve da un lato con la responsabilità e dall’altro
con la qualità della propria esistenza. Ebbene, qualità significa qui appunto
la capacità di saper uscire dalla propria mediocrità, dalla propria ignoranza,
aprendosi alla cultura, al confronto con le ragioni degli altri,
all’intelligenza che non si fa abbagliare dagli specchietti per le allodole.
Confesso che per me è sempre una gioia stimolante incontrare e parlare con
persone di cultura che magari combattono in campi diversi e talora opposti al
mio ma la cui intelligenza ti permette
un incontro vero con l’altro e una comune ricerca della verità, piuttosto che a
volte sopportare la pena di gente vuota e insignificante che non sa andare al
di là dei propri pregiudizi e del pettegolezzo e che pure dice di essere dalla
tua parte e d’accordo con te! Per questo non amo i talk – show e rifiuto gli
inviti a parteciparvi. Perché spesso sono solo una sfilata di gente che
monologa e ognuna a partire dal proprio pregiudizio. Alla fine ognuna ritorna a
casa così come era prima: e allora cosa ci ha guadagnato? La qualità della vita
invece credo dipenda dalla propria onestà intellettuale con cui uno si mette
alla ricerca della verità e della sapienza. Partendo però da un ammissione: il
sapere di non sapere! Cioè il non credere di sapere tutto. Si può conoscere la
propria arte eppure non essere sapienti! Proprio come Socrate: allora si
arriverà alla “dotta ignoranza” di cui parlano mistici religiosi e laici. E
credo che, in tempi in cui è facile scambiare il cavallo per il cavaliere, un
po’ di saggezza e di intelligenza non guastino a nessuno!
CATHOLICA FORMA : Non basta dirsi cristiani. Il credere deve avere una forma. La forma cattolica è il modo in cui la sostanza della fede cristiana prende corpo nel cuore dei credenti. Questo spazio vuole essere un luogo per mostrare la bellezza della fede cattolica.
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