mercoledì 14 giugno 2017

Contro il fondamentalismo

Ho la grazia di occuparmi di dialogo interreligioso e quindi di vivere sulla frontiera dei rapporti fra le tre confessioni monoteiste: ebraismo, cristianesimo, islamismo. Dico grazia perché in occasioni come queste ti accorgi come la possibilità di poter vivere un’esperienza di fede forte, frutto di un’identità consapevole e vissuta coerentemente non significa necessariamente l’arroccarsi in un integralismo fanatico, ma apre le porte ad un confronto sereno e ad un dialogo costruttivo tra appartenenti a fedi diverse, purché lo si voglia fare e soprattutto purché lo si faccia con grande onestà intellettuale. Confesso, infatti, di essere rimasto piacevolmente sorpreso e ammirato del coraggio che un musulmano, il noto sociologo e giornalista arabo Magdi Fuad Allam, ha avuto non solo nel deplorare ancora una volta l’islam della “guerra santa” e dei kamikaze imbottiti di dinamite (lo ha fatto in un libro bellissimo: Lettera ad un kamikaze che consiglio a tutti di leggere) ma di denunciare la deriva integralista che una parte dell’Islam sta vivendo. E l’integralismo, lo ha ammesso senza mezzi termini, è frutto di una lettura letteralista e fondamentalista del Corano. Una lettura che pretende cioè di derivare “sic et simpliciter” dal testo coranico valori e norme di vita “sine glossa” cioè senza nessun lavoro di interpretazione e di contestualizzazione. E tale lettura è voluta strumentalmente da chi vuole manovrare le masse ignoranti (e volutamente tenute nell’ignoranza) per tornaconti personali dove la volontà di Allah non c’entra affatto. Continuando di questo passo ha affermato icasticamente Allam l’islam sta procedendo verso il proprio suicidio, nonostante l’apparente marcia trionfale odierna: l’islam o accetta di rinnovarsi tramite l’apertura alla riflessione critica ed ermeneutica o non avrà futuro. Al di là delle sorti dell’islam credo che questa puntualizzazione sia stimolante anche in ambito cristiano. Fuad Allam dice che non si può leggere il Corano senza la chiave d’interpretazione dello stesso che ne da Muhamad nei suoi Detti e raccolti da tutta la tradizione e senza lo sforzo esegetico. Ugualmente penso che oggi anche in ambito ecclesiale ci sia il pericolo di un approccio letteralista e fondamentalista verso la Sacra Scrittura: in singoli personaggi ecclesiali o in tanti gruppi o movimenti o associazioni è in auge una lettura semplicista e acritica del vangelo da cui si sfocia o in un soggettivismo alienante in cui il “secondo me” - che non tiene conto della lettura “contestualizzata” da Esegesi e Tradizione ecclesiale -  vanifica il dato oggettivo del testo in un pensiero pio ma autogratificante tanto da non incidere per nulla nella storia personale, oppure sfocia in una lettura integralista e materialista del testo in cui il dato oggettivo è costretto in un “corto circuito” ermeneutico tale da violentarne il senso con la pretesa di una sua attualizzazione senza nessuna mediazione critica e quindi con un impatto astorico dirompente sulla realtà. E inoltre in entrambi i casi il rischio di plagio non è solo un’ipotesi astratta ma purtroppo reale ed attuale. La soluzione secondo l’Allam è il ritorno allo studio, allo sforzo esegetico, ad un’esperienza di fede non romantica o istintuale ma colta. E in questo sono più che d’accordo: lo si voglia o no  Corano, Bibbia e Vangelo sono libri e come tali devono essere  letti, studiati, interpretati e rettamente capiti. Non possediamo una rivelazione diretta da Dio: e questa è una grazia perché ci libera da ogni tentazione di teocrazia, non solo del Papa-re di Roma ma di tutti i piccoli papa-re che a volte si credono alcuni vescovi e preti e leader carismatici di questo o quel gruppo. Lo si voglia o no il cristianesimo non vuole ignoranti: è una “dotta ignoranza” quella che viene richiesta, una fede cioè certamente umile e sincera – perché non è riservato solo alla gente “colta”-, ma che sa che non può fare a meno della ricerca appassionata, amorevole e faticosa, lo “studium” appunto, con cui riuscire a cogliere la Parola  nel cuore delle parole. Confesso che ho paura dell’approccio immediato con cui clero e laici spesso si accostano alle pagine evangeliche col risultato di formare alla fede personalità bigotte ma non certamente mature e responsabili. Nonostante il pullulare nelle nostre sacrestie di iniziative di incontri e di lectio divina purtroppo bisogna riconoscere che siamo lontani da un approccio serio con la Bibbia. Bisogna tornare all’esegesi: il lavoro paziente e diuturno fatto nelle madrasse coraniche, nelle yheshivà ebraiche e che abbiamo quasi dimenticato nelle nostre parrocchie. La nascita di Gesù per i cristiani è la festa della Parola che si fa carne: ma se non si riesce a decifrarla nella Scrittura come poi riuscire a leggerla nei drammi dell’umanità e della storia? 

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