lunedì 14 dicembre 2015

Natale festa della pace


Il tema  può sembrare a prima vista o banalmente scontato o sottilmente provocatorio.
Scontato, giacché per chi è cristiano è ovvio che l’incarnazione del Verbo e la sua Nascita, così come tutta la sua storia di salvezza culminata nella morte e risurrezione di Cristo, è l’evento da cui è scaturita e può ancora scaturire una esperienza di pacificazione ai vari livelli di relazione umana (con Dio, con gli altri uomini, con tutto il creato).
Provocatorio, perché – specie per chi non crede affatto o è seguace di qualche altra religione – il nesso tra nascita di Gesù Cristo, e quindi dell’affermarsi dell’esperienza cristiana, con la pace non sembra così consequenziale. Anzi, addirittura proprio per stare in pace, specie nel rapporto con altre istanze religiose, qualcuno ad esempio ha proposto di non celebrare più il Natale o di non porre i segni della memoria natalizia di Gesù nei luoghi pubblici. In questo senso sembrerebbe che proprio il Natale sia alla base di litigi e contese. Ma è davvero così?
Per sgombrare il campo da ogni equivoco, chiariamo anzitutto come la memoria del Natale, e quindi del suo rimando alla persona di Gesù di Nazaret, solo da chi pensa in modo ignorantemente acritico e superficiale può essere erroneamente intesa in modo offensivo nei riguardi delle altre due fedi dichiaratamente monoteiste.
L’ebraismo ufficiale ed ortodosso ha da tempo superato e sue preclusioni nei riguardi di Gesù, considerato oggi in tutta la sua ebraicità come un grande ed illustre Rabbi, anzi, ci sono studi in cui è in piena riconsiderazione e rivalutazione il suo rapporto con Dio e la sua “messianicità”, seppur in senso lato: in questo senso certo non dispiace agli ebrei la celebrazione di un loro fratello illustre.
Come pure è solo frutto di pregiudizio il fatto che si creda che la realizzazione del presepe in classe o l’organizzazione di recite scolastiche con la rievocazione della nascita di Gesù possa urtare od offendere il credo o la sensibilità dei fedeli musulmani.
Al contrario invece bisogna sottolineare cinque punti fondamentali per la fede islamica a partire dai dati presenti nel Corano: Maria è considerata donna eletta da Dio ed è onorata perché sempre vergine; Dio è lodato per la sua onnipotenza perché ha fatto partorire una vergine senza intervento umano; Gesù, il figlio di Maria, è dopo Maometto, il più grande profeta di tutti i tempi antichi; Maria e Gesù ancora oggi sono molto venerati nel mondo islamico come figure di vera obbedienza e sottomissione a Dio.
Nello stesso Corano grande spazio è dato poi al racconto della nascita miracolosa di Gesù, ispirata non ai vangeli canonici ma a quelli apocrifi, in particolare al protovangelo di Giacomo. Il racconto del Natale di Gesù è descritto nella sura 19 detta “sura di Maria”, il cui nome deriva dal versetto 16 della stessa sura.
Maria è la donna tramite la quale Allah ha voluto dare un segno particolare: “In verità o Maria Allah ti ha prescelta; ti ha purificata e prescelta tra tutte le donne del mondo” (III, 42) e il segno è stato Gesù suo figlio, nato per volontà dell'Altissimo, divina creazione nella generazione umana: “...un segno per le genti e una misericordia da parte Nostra” (XIX, 21). Tutta la vicenda di Maria è dolcemente contraddistinta dall'abbandono ad Allah e da una purezza delle intenzioni che ne fa una figura angelicata;  Maometto disse che Maria, insieme a Fâtima, Khadîja e Asiya (la sposa di Faraone che salvò Mosè dal Nilo) è una delle signore del Paradiso.
La festa del Natale dunque non può essere portata a pretesto per fomentare uno scontro tra le religioni.
Anzi, più che muro potrebbe diventare un ponte per gettare le basi di una pacifica convivenza civile nel rispetto e nella collaborazione tra credenti di fedi diverse.
Ma credo che, al di sopra di questo livello interreligioso, ci sia un altro livello su cui riflettere sul senso della celebrazione del Natale di Gesù oggi.
Proprio guardando all’evento stesso di cui si fa memoria a Natale.
La fede cristiana afferma che Gesù è il Logos, il Verbo di Dio, che si fa carne, che si fa uomo: pur nella difficoltà di dire in parole e concetti umani il mistero indicibile dell’eterno, qui si vuole dire che il Logos, o se si vuole la Ratio, la divina sapienza, con cui il mondo è stato creato e ordinato e che continua a reggere e dare fondamento a tutta la creazione, proprio questo Logos si è fatto carne ed è venuto come uomo ad abitare in mezzo a noi, come ci ricorda il Prologo del vangelo di Giovanni.
Proprio questa affermazione è capace di riconciliare, e quindi essere fonte di pace, diverse istanze che a prima vista a qualcuno potrebbero sembrare inconciliabili.
Giacché è lo stesso Logos, la stessa Ratio presente nella creazione e nell’incarnazione, non ci dovrebbero essere contraddizioni o lotte tra ragione e fede cristiana, tra scienza e fede, tra natura e grazia.
Una falsa concezione di secolarizzazione e di laicità ha creduto e crede che queste realtà siano invece irriducibili e irriconducibili al dialogo l’una con l’altra, quando invece si dovrebbe riconoscere che c’è ragionevolezza nella fede cristiana e che ci sono le ragioni della fede che la stessa ragione non comprende, per dirla con Pascal.
Se la fede senza ragione diventa integralismo, la stessa ragione se non è purificata dalla fede diventa pure integralismo intollerante.
Il rifiuto del Logos come cifra che misura l’esistenza non è forse all’origine della follia drammatica dei nostri giorni: ricordiamo che proprio “il sonno della ragione genera i mostri”.
Anche chi non crede può, dunque, unirsi ai cristiani in questa celebrazione del Logos/Ragione che è e deve essere a fondamento della vita umana privata e sociale. A tal fine Joseph Ratzinger, come teologo prima e come papa Benedetto XVI dopo, si è battuto per un dialogo col mondo contemporaneo, invocando il recupero del Logos a livello etico, politico e religioso.
Non invitò forse Benedetto a Ratisbona l’Islam a farsi purificare dalla Ragione contro ogni integralismo?
Non invitò forse Benedetto al Parlamento tedesco a ricondurre la politica nel solco della Ragione che solo può fondare una moralità per il bene comune?
La celebrazione del Logos incarnato allora davvero può essere fonte di pace.
“Gloria a Dio nelle altezze dei cieli e pace in terra agli uomini destinatari della buona volontà, della buona disposizione di Dio nei loro confronti!” 
Così cantarono gli angeli al campo dei pastori.
Questo è il senso dell’incarnazione del Logos: l’annuncio e il dono della pace per tutti gli uomini senza distinzione alcuna, perché tutti oggetto della benevolenza di Dio.

L’augurio è dunque che ogni celebrazione del Natale di Gesù sia un passo verso la pace e la fraternità, la giustizia e l’uguaglianza di tutti nel mondo intero.

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