giovedì 16 novembre 2017

A volte ritornano

 
C’è un ciclico ritornare di alcune idee, nell’orizzonte del dibattito culturale. Questo non fa meraviglia. Quello che fa meraviglia, invece, è la virulenza con cui ne è ritornata in auge una in particolare, dietro il tentativo di spiegare la matrice religiosa di un certo terrorismo islamico: è la tesi per cui la radice della violenza religiosa si annida nel monoteismo. E in particolare in quello cristiano e islamico. E’ l’idea, tanto per fare qualche esempio, di Umberto Eco,  volgarizzata qualche anno fa in diverse sue pubblicazioni, ma è soprattutto il forte convincimento di Jan Assman, illustre egittologo, che ha lanciato con forza, inoltre,  l’idea, ripresa a tamburo battente dai media di tutto il mondo e fatta oggetto di accesi dibattiti, che per sconfiggere la violenza terroristica bisogna superare il monoteismo che la genera, per ritornare al politeismo tollerante, multiculturale e multireligioso, del passato. Ma è davvero così?

Prendendo sul serio la provocazione, la Commissione Teologica Internazionale[1] ha pubblicato nel 2014 un documento dal titolo Dio Trinità, unità degli uomini. Il monoteismo cristiano contro la violenza.

E’ un peccato che tale pubblicazione sia quasi passata sotto silenzio, e la sua conoscenza sia rimasta nell’ambito degli addetti ai lavori, quando avrebbe merito una più ampia diffusione, perché entra in questo dibattito quanto mai urgente ed attuale. Da qui la necessità di riparlarne.

Vediamo dunque cosa dice la Commissione Teologica Internazionale.

Il Documento vuole rispondere dunque all’accusa, sempre più frequente e ripresa a più livelli, per cui è proprio il monoteismo, a generare la violenza religiosa e l’intolleranza tra gruppi religiosi. La riflessione della Commissione si propone perciò di offrire una chiarificazione circa << una teoria diversamente argomentata, secondo la quale esiste un rapporto necessario fra il monoteismo e le guerre di religione>>[2], chiarificazione offerta come proposta di dialogo e perciò elaborata e presentata <<in chiave di argomentata testimonianza, non di contrapposizione apologetica>>[3].

Si inizia, allora, dalla costatazione che, con un certo corto circuito logico, da tante parti si affermi come, dato che ogni religione monoteista presenta il proprio Dio come l’unico e l’assoluto, e sia questi posto a fondamento della verità, allora lo scontro tra monoteismi sarà inevitabile, perché ogni gruppo tenderà ad imporre la supremazia e l’unicità del suo dio e quindi la propria verità su tutti gli altri. Magari con la violenza, oltre a tutti gli altri mezzi di persuasione e di proselitismo. Come uscirne?

L’accusa in fondo, come dicevamo all’inizio, non è nuova e l’Illuminismo cercò di superare il problema elaborando, con il Deismo[4], un concetto di Dio, per così dire, super partes, svincolato dalle immagini veicolate dai tre monoteismi storicamente affermatisi: ebraismo, cristianesimo, islam.

Tuttavia, tale concezione deistica della divinità, resasi autonoma rispetto all’immagine di Dio, quantomeno, nei riguardi dei due monoteismi biblici, ebraismo e cristianesimo, non è riuscita ad entrare in dialogo positivo con queste due esperienze storiche di monoteismo, anzi spesso si è attestata su posizioni di antagonismo e scontro essa stessa, col paradosso, talvolta, di voler superare la presupposta radice violenta del monoteismo ebraico-cristiano con l’imposizione, anche violenta, di un nuovo monoteismo o di un altro principio ideologico assoluto! Qui il Documento rimanda al << pregiudizio – tipico del modello razionalistico – secondo il quale, anche sul piano esistenziale e sociale, c’è un solo modo per affermare la verità: negare la libertà o eliminare l’antagonista>>.[5] La degenerazione dell’Illuminismo segna proprio il fallimento di questa impresa.[6]

Ma il deismo - constata ancora il Documento - non fu e non è l’unica reazione al preteso legame tra violenza e monoteismo. L’alternativa radicale alla creduta concezione assolutizzante del monoteismo, così come nei confronti di ogni altra idea religiosa, è data dalla teorizzazione delle varie forme di agnosticismo, di laicismo politico, dell’ateismo umanistico e immanentistico e naturalistico.[7]

Se però può essere comprensibile, e in parte giustificabile, una certa posizione agnostica o ateistica nei riguardi dell’esperienza religiosa in sé, a volte frutto di una reazione alle sue concretizzazioni storiche, in cui la religione spesso è servita da supporto strumentale alle varie forme di potere e alla sua gestione, appare quanto meno strana - afferma il documento - la posizione odierna di alcuni che vedrebbero il monoteismo come la radice di ogni violenza, e da qui il rimpianto, da parte di taluni pensatori, di una concezione religiosa politeista che assicurerebbe il rispetto per la diversità di idee e di forme di vita etica e sociale in un contesto, ormai attestatosi, come pluralistico e variegato.

Stranamente, infatti, – rileva la Commissione -  si sta assistendo al capovolgimento del giudizio sul monoteismo, un tempo considerato come l’approdo della ricerca religiosa degli uomini in una forma <<culturalmente più evoluta>>[8], cioè come concezione ultima della divinità a cui è pervenuto il pensiero filosofico-teologico dopo una riflessione durata secoli, e ora invece ritenuto come il vero ostacolo al progresso e alla piena realizzazione dell’uomo e della società[9]. Perciò il Documento non nasconde la sua meraviglia quando rileva che <<il rovesciamento del quadro moderno è inaspettato: ora il monoteismo è arcaico e dispotico, il politeismo è creativo e tollerante>>.[10]

Alla base di questo ribaltamento - spiega la Commissione Teologica - c’è certamente il cambiamento del modo di comprendere l’esercizio della ragione e il concetto di verità. Dalla sfiducia tutta moderna sulla possibilità che la ragione conosca una verità assoluta, o anche da una certa indifferenza verso questa verità, e dalla riduzione dell’ambito della certezza al solo mondo scientifico (e forse neanche più a questo) discende, anzi, l’idea che proprio l’affermazione della verità stia alla base di un pensiero unico sfociante nel totalitarismo e nella << pretesa di possesso esclusivo da parte di un soggetto o gruppo umano>>[11] della stessa verità.  Da qui, si pretende affermare da parte di alcuni, la nascita dei conflitti a causa dei fondamentalismi religiosi, giacché uno dei fondamenti del pensiero monoteista starebbe nel ritenersi detentore assoluto della verità. Conseguentemente, l’unica posizione su cui attestarsi, si ritiene, in reazione a questa pretesa assolutistica, sarebbe quella di un pensiero relativista circa la verità, che di fatto concretamente sfocia nella indifferenza circa qualsiasi principio o valore. Perciò la Commissione Teologica afferma che l’idea della consequenzialità tra monoteismo e violenza, considerata da alcuni intellettuali come una ovvietà culturale, non faccia invece che acuire l’indifferenza della società nei riguardi della esperienza religiosa, oscurando la vera immagine della religione e offendendo la dignità dei credenti sinceri.[12]

Paradossalmente, inoltre, questo <<sentire relativistico totale abbandona i rapporti umani a una gestione anonima e burocratica della convivenza civile>> e sfocia nell’affermarsi <<di un disegno totalitario del pensiero unico>>[13]: così, per uscire dal preteso totalitarismo del monoteismo, si ricade nel tentativo, altrettanto totalitaristico, di gruppi e lobby più o meno occulte spinti da interessi di potere, non senza risvolti economici, che cercano di imporre le loro strategie sociopolitiche e ideologiche!

Il Documento reagisce così con forza a tale concezione sviluppando una argomentazione a più livelli.

Anzitutto, viene negato che il politeismo, così come storicamente attestatosi, ieri e oggi, sia davvero un esempio ideale di tolleranza: la Commissione formula infatti una <<riserva critica nei confronti di una semplificazione culturale che riduce l’alternativa alla scelta fra monoteismo necessariamente violento e un politeismo presuntivamente tollerante>>[14]. Anzi, si afferma che <<l’applicazione metaforica del politeismo religioso alla democrazia civile, come antidoto alla violenza, in verità, sembra talora stravagante dal punto di vista storico, sociologico, e anche teorico>>[15]. Basti pensare al “tollerante” impero romano e alle persecuzioni contro i cristiani![16]

Si rigetta, poi, la scelta di fatto di accomunare, sotto l’unica denominazione di monoteismo, i tre grandi monoteismi storici conosciuti: ebraismo, cristianesimo e islam. Il Documento sottolinea vivacemente come sia profondamente ingiusto mettere insieme tre esperienze religiose che, dietro la forma monoteista, in realtà veicolano già concezioni stesse della divinità radicalmente diverse, da cui discendono antropologie e concezioni culturali e socio-politiche diverse. Basti pensare al rapporto, variamente inteso e interpretato, tra religione e Stato, in ognuna delle tre religioni in questione.[17]

Ma la Commissione, poi, concentra tutta la sua argomentazione verso la concretizzazione della accusa della radice violenta monoteista contro il solo cristianesimo. Di fatto, dei tre monoteismi storici, l’ebraismo è generalmente sottratto a questa accusa, sia perché gli intellettuali d’Occidente sono ancora sotto l’influenza del complesso di colpa per la Shoà, sia perché, a causa della scelta del giudaismo di non puntare sulla missione e sul proselitismo, non ci si sente “attaccati” dalla sua presenza (fra l’altro numericamente esigua rispetto agli altri due monoteismi); mentre il rapporto con l’Islam è interpretato sotto il riflesso del conflitto storico fra dominio cristiano e dominio islamico, e quindi in chiave geopolitica, mentre si stenta a farne una lettura filosofica e teologica.[18]

Così non resta che il cristianesimo <<a essere preferibilmente analizzato come caso esemplare dell’inclinazione dispotica del monoteismo religioso>>[19].

La Commissione comincia con l’affermare che questa <<puntigliosa identificazione del cristianesimo come ostacolo da abbattere, nella lotta contro il monoteismo che diffonde la violenza religiosa nel mondo… non cessa di stupire>>[20] sia perché, almeno nella cultura occidentale, il cristianesimo è la religione che dovrebbe essere di gran lunga la più conosciuta e quindi non ci dovrebbero essere equivoci sulla sua reale essenza e identità, sia perché alcune acquisizioni della società occidentale, quali il primato della dignità della persona umana, la libertà, l’uguaglianza fra gli esseri umani, la separazione fra sfera laica dello Stato e della società civile e l’esperienza religiosa, sono tutte radicate nei valori irrinunciabili propugnati dal cristianesimo.

E perciò non si può pensare – afferma il Documento - che questo attacco sia fatto in buona fede, perché tante affermazioni errate e distorte sul cristianesimo non sono certo frutto di sola ignoranza.[21] Ma tale attacco è sicuramente fatto in base alla concezione nichilista del mondo impostasi in Occidente, a partire dalla modernità e che ha condotto all’odierna società “liquida” dell’epoca postmoderna, per cui si vive in una sorta di ripudio del cristianesimo, di cui l’Occidente è pure, in larga parte, frutto.

La Commissione, perciò, indica come irrinunciabile per tutte le religioni, specie le monoteiste, reagire alle accuse fatte loro di essere generatrici di violenza e per far ciò afferma che occorre un ripensamento critico di ognuna che ne mostri il vero volto e le faccia uscire da un ripiegamento in se stesse e dal pericolo di una loro visione distorta, ad intra come ad extra, della stessa loro esperienza religiosa.[22]

Il Documento, così, passa all’enunciato fondamentale: << Possiamo attestare, con tutta la fermezza e l’umiltà necessaria, che il radicale ammonimento nei confronti di un uso dispotico e violento della religione appartiene in un modo unico al nucleo originario della rivelazione di Gesù Cristo e ne rappresenta uno degli aspetti più inauditi ed emozionanti nella storia dell’attesa della manifestazione personale di Dio  e dell’esperienza religiosa dell’umanità>>[23] e questo perché <<l’unità indissolubile del comandamento evangelico dell’amore di Dio e del prossimo stabilisce il grado di autenticità della religione. Di ogni religione>>[24].

E pertanto la Commissione si sente di proclamare con forza che << nella tradizione della Chiesa il principio di questa verità cristologica di Dio non si è mai perso, a costo di mettere il cristianesimo in contraddizione fra la sua prassi storica e la sua autentica ispirazione>>.

Come dire che, se in qualche momento storico la Chiesa è stata tentata da un uso violento del messaggio evangelico, ciò è stato fatto non in ossequio a tale messaggio ma in evidente contraddizione a questo e perciò dando aperto scandalo circa la sua fedeltà alla rivelazione di Dio in Cristo. Ed è proprio a partire dalla verità dello stesso messaggio evangelico che la Chiesa ha potuto convertirsi e rinnovarsi per ritornare alla purezza originaria del vangelo.

In parole povere: se un cristiano si rifà al messaggio evangelico per giustificare il suo agire violento, sa e deve sapere che tale ricorso non può essere assolutamente giustificato, perché è il vangelo stesso che rigetta e rimprovera questo uso strumentale del suo messaggio, con il suo appello all’amore per Dio e il prossimo.

Per dimostrare tali affermazioni, la Commissione ripercorre il cammino della rivelazione biblica, dalla iniziativa di Dio nel cammino degli uomini (parte II), con l’offerta della alleanza destinata per tutte le genti, e poi, operando un discernimento cristiano sull’antica rivelazione a Israele, mettendo in risalto l’appello alla pratica dell’amore e alla custodia della giustizia, in cui anche gli stessi passi difficili e “violenti” sono ricompresi alla luce della pedagogia divina nei riguardi del suo popolo, sottolineando come il senso ultimo della alleanza di Dio con Israele sia la rivelazione della sua misericordia e della sua giustizia.

Si arriva così alla rivelazione di Dio nel Figlio (parte III) in cui si sottolinea come lo stesso operato del Figlio sia stato fatto in vista della riconciliazione e del superamento della inimicizia fra gli uomini. E ciò attraverso il superamento della violenza nella morte in croce del Figlio. In lui è tolto ogni muro di inimicizia e ogni barriera e distinzione fra gli uomini. La croce dimostra come la lotta da sostenere non è fra popoli ma contro il male che alberga in noi stessi e le potenze del Maligno che si oppongono alla signoria di Dio sulla terra e nel cuore degli uomini. L’incarnazione e la croce manifestano così l’essenza del Dio uni-trino, lui stesso comunione di amore (radicalmente diverso ad esempio dal monismo monoteista delle altre religioni) che vuole coinvolgere gli uomini in questa comunione di amore. Nella logica dell’incarnazione e della rivelazione della gloria di Dio nella paradossale potenza della croce, anche la Chiesa è chiamata a proclamare la sua fede nel Dio della pace e così dare speranza a tutti i popoli per superare ogni conflitto etnico e odio di civiltà. E per tutte le volte che la Chiesa ha tradito questo ministero di pace e riconciliazione fra i popoli la Chiesa ha fatto e fa il suo mea culpa.

Così facendo il Documento recupera (parte IV) la dimensione della fede nel rapporto con la ragione, per superare le critiche dell’ateismo sulla stessa esistenza di Dio, ridimostrando la validità del percorso che dalla ragione arriva alla fede nel Dio creatore, un Dio “persona” e unico che interpella ogni uomo e lo chiama a vivere in relazione con lui. Da qui il valore (parte V) della dignità del singolo uomo e il legame dei molti nell’unico Dio che fonda la dimensione etica dell’agire umano e la passione per la giustizia dei singoli e dei popoli.

In conclusione, la Commissione tira le fila del discorso ampiamente sviluppato nel Documento.

Il monoteismo che si realizza in questo modo nella fede trinitaria del cristianesimo - si afferma - non solo rigetta ogni tentativo di violenza, ma concorre a purificare ogni esperienza religiosa dalla tentazione del dominio: in questa tentazione va riconosciuta infatti non l’autentica esperienza religiosa ma una sua radicale corruzione, specie se proveniente da forme di violenza generate da interessi economici e politici che strumentalizzano la sensibilità religiosa dei popoli. E dimostrare la forza della pace con Dio è e sarà sempre di più la missione irreversibile della Chiesa.

L’augurio è che anche le altre religioni, in particolare quelle monoteiste, riescano ad argomentare con altrettanta verità il ripudio di ogni violenza, nella riflessione sulla loro esperienza religiosa: specie quelle maggiormente esposte alla tentazione della <<chiusura su se stesse, e persino attraversate da orribili presagi di guerra>>[25].




[1] COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Dio Trinità, unità degli uomini. Il monoteismo cristiano contro la violenza. EDB, 2014.
[2] Ivi, presentazione, p. 7.
[3] COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Dio Trinità…, presentazione, p. 7.
[4] Ivi, n. 4, p. 13.
[5] Ivi, n. 9, p. 18.
[6] cfr. Ivi, presentazione. Si veda anche la tesi di BARRINGTON MOORE JR., Le origini religiose della persecuzione religiosa nella storia, Sellerio editore, Palermo, 2002, pp. 175, per cui lo stesso radicalismo violento in cui sfociò la rivoluzione francese non fu che la ripresa “laica” della stessa idea monoteistica assolutizzante di voler imporre la propria verità con la forza e la violenza.
[7] cfr. Ivi, Cap. I.
[8] Ivi, n. 3, p.12.
[9] cfr. Ivi, n. 14, p. 21.
[10] Ivi, n. 6, p. 15.
[11] Ivi, n. 5, p. 14.
[12] cfr. COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Dio Trinità…, n. 8, p. 17.
[13] Ivi, n. 5, pp. 14-15.
[14] Ivi, Introduzione, p. 8.
[15] Ivi, n. 8, p. 17.
[16] A confermare proprio questa affermazione, mi permetto qui di segnalare certi episodi che registra la cronaca attuale di “intolleranza” e violenza religiosa di matrice induista o buddista che non sono certo riconducibili a fedi monoteiste.
[17] Infatti, tra l’altro, si fa notare come il <<rapporto tra osservanza religiosa e legislazione civile è un tema di discussione e di ricerca sul quale tutte le culture religiose sono ancora divise e oscillanti al loro interno. Gli eccessi del “fondamentalismo” religioso appaiono, in Occidente come in Oriente, radicalmente problematici anche dal punto di vista della loro genuina ispirazione religiosa. Si tratta dunque di un tema di discussione comune alle religioni>>, a tutte le religioni. A ragione perciò si sottolinea come la <<correlazione con la credenza monoteista appare perciò una semplificazione eccessiva e pretestuosa, che oscura la più fondamentale questione del rapporto fra trascendenza religiosa e secolarizzazione civile>>: cfr. Ivi, n. 10, pp. 18-19.
[18] Ivi, n. 10, p. 18.
[19] Ivi, n. 11, p. 19.
[20] Ivi, n. 12, p. 19.
[21] cfr. Ivi, n. 12, p. 20.
[22] cfr. Ivi, n. 18, p. 24.
[23] Ivi, n. 15, p. 22.
[24] Ivi,
[25] Ivi, n. 18, p. 24.

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